Apre così, frastagliata e subacquea, la ricerca. Taglio generoso sul passato; invasione diretta nella memoria. Scritta l'epoca. Salti a passar la storia nella sua riservatezza più sentita; lasciateci guardare, sentire, vedere, sembrano dire gli autori; tutto sarà come prima. Di maggio, l'idea ha preso corpo, e complice la primavera, è fiorita la mostra "San Giorgio in Bosco nella storia": rassegna iconografica composta nella chiesetta di Giarabassa di San Giorgio in Bosco. Fotografie ristampate con perizia da Gabriele Agostini, da originali raccolti con pazienza da Renzo Brunoro e Gianni Pierobon. Le foto sono state esposte in una linea narrativa che comprende le tematiche classiche della vita lavorativa, sociale e religiosa della comunità. partendo dal centro topografico del paese per poi allargarsi alle frazioni. Le poesie in dialetto sono di Luigino Zorzi. |
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San Giorgio in Bosco |
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“Villaggio
più volte saccheggiato ed incendiato”, così scrive il Salomonio nella
sua “Agri Patavini Ínscriptiones Sacrae Et Prophanae” di S. Giorgio
in Bosco, in seguito a ondate di barbari che scesero in Italia. Lo
stesso Salomonio sostiene che il nostro paese prese nome dal vicino bosco;
tuttavia, per avere notizie
certe di S. Giorgio in Bosco, bisogna arrivare agli statuti Padovani dal
secolo XII fino all'anno 1285, nei quali S. Giorgio in Bosco appare citato
in una legge del 1272. Ampi possedimenti nel territorio di S. Giorgio in Bosco furono di proprietà di Francesco da Carrara acquistati il 21 aprile 1405 da Gianesino da Romano e succeduti attraverso il testamento del 1494 a Giovanni Anselmi. Gli Anselmi avevano l'investitura feudale (concessa dal magistrato sopra feudi nell'anno 1765) di tutto il territorio di S. Giorgio in Bosco sia superiormente che inferiormente alla chiesa di S. Giorgio in Bosco. Interessante, a questo proposito, la causa che ne seguì tra gli Anselmi e i possidenti del luogo per ottenere la decima sui beni. La controversia terminò con la sentenza d'appello del 26 settembre 1820 e vide sconfitti proprio gli Anselmi. La
chiesa di S. Giorgio è nominata nelle decime papali del 1297, ma
dell'antica cappella non si ha notizia, fatta eccezione per una serie di
edifici di culto di campagna che si dice fossero di piccole dimensioni e
costruiti su incroci di vie, dove fin dall'antichità si pensava
confluisse il sacro. E’ poi precisato che dette costruzioni erano a
pianta rettangolare, affrescate con il
pavimento spesso di terra
battuta; avevano intorno il sagrato per le sepolture recintato da muretta
e con al centro una croce. Le chiese avevano la direzione rituale
simbolica, da Levante a Ponente. Il sacerdote celebrante e i fedeli,
infatti, stavano rivolti alla luce nascente quando, all'alba, veniva
celebrata la prima Messa. La chiesa parrocchiale di S. Giorgio in Bosco è
stata ricostruita nel 1700 e, si crede, nel sito stesso ove sorgeva la
vecchia cappella. Nel suo interno sono conservati, lungo le pareti
laterali, due altari settecenteschi e una pala attribuita a Jacopo dal
Ponte detto Bassano. Con
la caduta di Venezia e l'avvento di Napoleone (1797) hanno vita anche le Amministrazioni Comunali. S. Giorgio in Bosco fu eletto capoluogo, con le frazioni di
S. Anna Morosina, Lobia, Paviola, S. Giorgio in Brenta questo fino al 1810
quando fu sostituito con S. Anna Morosina per ritornarvi definitivamente
alla caduta di Napoleone nell’anno
1815. Vicino
alla parrocchiale è ubicata la villa seicentesca dei Bembo, abitata fino
ad una trentina di anni fa dai Fabian. Si tratta di un
complesso edilizio di notevole rilievo architettonico, recintato un
tempo da muretta, con palazzo
domenicale con loggia centrale al piano terra con ai lati due barchesse
porticate ora sede municipale. Sullo
stesso lato, a poche centinaia di metri, è situata villa Anselmi ora sede
della biblioteca comunale. Gli Anselmi furono tra le famiglie più antiche
del paese e molti componenti
sono tuttora sepolti nella chiesa di S. Giorgio in Bosco. |
San Giorgio in Bosco - Una vecchia foto di San Giorgio in Bosco. Risale alla fine del secolo scorso e riproduce la chiesa con il vecchio campanile. |
San Giorgio in Bosco - Posa della prima pietra del nuovo campanile in una foto dei primi del ‘900. |
San Giorgio in Bosco - Scorcio della Via Valsugana e della parrocchiale in una cartolina dei primi anni ’30. |
San Giorgio in Bosco - Inaugurazione del monumento ai caduti della 1^ guerra mondiale. Il monumento è opera del vicentino Napoleone GUIZZON. Foto del 1921. |
San Giorgio in Bosco - La casa del popolo è appena stata ultimata. Alcune persone stanno sistemando il piazzale antistante. La foto è della fine degli anni ’30. |
Paviola |
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La
prima notizia su Paviola ci viene dal Salomonio nella sua "Agri Patavini
Inscriptiones sacrae et prophanae". L’autore
suppone che un tempo la località si chiamasse "Povezzola", contrada del
villaggio di S. Giorgio in Bosco, dove nel 964
Berengario II Imperatore concesse poco terreno ai canonici di
Padova. Altri dati su Paviola ci vengono forniti dagli
Statuti del Comune di Padova, dal secolo XII all'anno 1285, dove Paviola
viene menzionata per la costruzione e la successiva manuntenzione del
ponte sul Mamola, alla Bolzonella. Nelle decime papali del 1297, viene nominata la
cappella di Paviola, convergente alla pieve di S. Donato. Nel 1503 Pandolfo Malatesta imponeva una
"colta" o tassa su tutta la podesteria di Cittadella per coprire le
spese sostenute dai soldati al suo servizio. Nella nota dei villaggi
debitori appariva anche Paviola. Nel
1556 una pergamena (che si trova
nell'archivio parrocchiale di Paviola), testimonia la controversia degli
abitanti del luogo con la curia per la mancanza di un sacerdote che
celebrasse la messa nelle feste comandate, per cui i fedeli erano
costretti a recarsi a S. Giorgio in Bosco. Dell'antica chiesa di Paviola non si conosce nulla
fino all'anno 1843, quando viene redatto il progetto di ricostruzione. Significativa, per la conoscenza delle condizioni di vita della popolazione di Paviola, è una nota del Parroco Don Luigi Dalla Via del 23 maggio 1818, che recita: "Memoria
che in quest'anno si può dire che la povertà è rissorta dalle tante miserie. Nell'anno scorso, tanti hanno patito una
gran fame, ch'erano vegi impotenti al lavoro per mancanza di alimento;
tanti hanno dovuto cessare di vivere per la fame canina; tanti sono morti
dal morbo chiamato volgarmente il tifo. La prevvidenza del buon Dio ha
provveduto abbondantemente di tutti li generi di prima neccesità, poichè
l'anno scorso 1817, nei mesi di maggio e giugno il frumento detto
volgarmente sorgo turco, valeva lire venti e sei ed anche ventiotto
staretto Padovano ed anche il frumento ad un dipreso. Ora il frumento vale
lire ventiquattro e mezzo circa della più ottima
qualità; il
formento a lire otto circa e se Iddio preserva dalle disgrazie
la campagna si ha da vedere un poco di ribasso su tutti li generi. Il
tutto si deve attribuire alla benefica mano del buon Dio, che sembra abbia
riposto nel
fodero la spada vendicatrice di sua giustizia,
provocata a
sdegno per tutte nostre inevitù". A Paviola si trovano alcune tra le più importanti
ville del nostro comune. Tra queste, Villa Giusti del Giardino (del XVI
secolo), fatta costruire dalla nobile famiglia dei Marcello. Questa casata
era di gran nome; tra gli altri contava un Doge, Nicolò Marcello nel
1473, e Giacomo Marcello, capitano generale dell'Armata Veneziana, che morì
combattendo a Gallipoli. Nel 1506, era podestà' di Cittadella
Bernardo Marcello. Si annovera poi villa Ramusa, costruzione attribuita
al XVI secolo, che fu abitata dalla famiglia dei Ramusii, di origine
ravennate, in seguito trapiantata a Venezia intorno al 1458. I Ramusii
furono possessori di terre nel Cittadellese dal 1475. Si narra che nella
villa avessero ospitato illustri personaggi come Gerolamo Fracastoro e
Andrea Navagero, umanisti e amici di Giovanni Battista Ramusio. Il
Fracastoro, illustre medico e letterato cita nei suoi poemi la villa e il
fiumicello Marsango. |
Paviola - L’antica villa Camerini trasformata nell’albergo trattoria Meneghel in una cartolina del 1918. |
Paviola - Villa Giusti del Giardino. Il complesso è visto dalla parte del parco in una cartolina del 1939. |
Paviola - La chiesa in una foto degli anni 50. |
Paviola - Veduta di Villa Ramusio in una foto degli anni '50. |
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Paviola - Veduta degli annessi di Villa Ramusio in una foto degli anni '50. |
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Paviola - Veduta di Villa Rossato in una foto degli anni '20. |
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Lobia |
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Lobia
di Persegara é situata sulla sinistra del Brenta ed é posta parte sulle
rive di detto fiume e parte sui terreni alluvionali prodotti dal medesimo,
mentre si ritirò ad occidente. Circa
le origini dei nome di Lobia, l'Olivieri si domanda se possa derivare dal
nome Laubia, ossia “pergolo”,
“frascato”, mentre altri sostengono che significhi tettoia. L’etimo
Persegara poi, secondo lo stesso autore, risale all'età medioevale, come
si può intuire dalla voce “persico” di origine romana. Memorie
più antiche del 1200 non se ne trovano. Una prima menzione si ha in una
sentenza dei 24 dicembre 1218 nel codice statuario della Repubblica
Veneta, dove si dice che
Persegara si chiamasse così per l'estesa coltivazione di pesche,
(“persici”). Testimonianze
più remote riguardano la contrada “Porcile” ora riabilitata con
nome più consono di via Romanie. Si narra che in Porcile sorgesse un
tempio chiamato allora “Domo”, proprio nel luogo ove si trovava
una vecchia casa chiamata Domo, e vi fossero due campane che portavano
un'antichissima leggenda e servirono poi alla chiesa di Lobia. Nel 1833
queste due campane furono disfatte per la fusione di tre nuove. Pare
che in Persegara esistesse anche un castello distrutto da Ezzelino, come
appare nelle iscrizioni (Agri patavini dei Salomonio). Certo é che questo
paesello aveva in riva al Brenta la chiesa di S. Margherita e il parroco di
Lobia era tenuto ad officiare in quella ogni terza dei mese (visita
vescovile 1700). Nel corso del 1700 un allagamento del Brenta distrusse
Persegara, riducendola a nuda ghiaia e spazzando via la chiesa con tutti
gli edifici, tra i quali il palazzo dei nobili Grifalconi. La
vecchia chiesa di Lobia, più volte ampliata, si trovava proprio lungo la
sponda del fiume, tant’è che si trovano ancora dei resti di muraglie
con grossi anelli per fermare le barche e le zattere. Non é del tutto
fuori luogo pensare che il piccolo tempio fosse per i barcaioli un luogo
votivo ove fermarsi a pregare all'apostolo S. Bartolomeo per ottenere
prospero viaggio. La chiesa venne riedificata nel 1664, “colle
rendite del comune e le elemosine dei fedeli mentre era parroco Giovanni
Castellani e massari Giovanni Battista Lucon e Girolamo Piran”, come
recita la lapide che si trovava nel suo frontone. Piccola e disadorna, la
sua superficie era di soli 165 mq. con l’abside di 20 mq. ed una piccola
sacrestia. Durante
la predica Quaresimale del 13 marzo 1904, il parroco D. Luigi Montin ordinò
al cappellano D. Emilio Menegazzo di annunciare alla popolazione il
progetto di un ampliamento della chiesa che, sebbene più volte
restaurata, si trovava cadente. L'idea dell'ampliamento fu però
modificata nelle riunioni che seguirono con la costruzione di una nuova
chiesa. Il
26 marzo 1905 iniziarono i lavori, su progetto dell'architetto Vittorio
Barichello, e il 26 novembre dello stesso anno ci fu la benedizione e posa
della prima pietra. Il 21 novembre 1909 la chiesa, terminata, venne
solennemente benedetta dal Monsignor Antonio De Marchi. Tra
le famiglie più importanti di Lobia una segnalazione ai Grifalconi,
stabilitasi da Venezia fin dal 1400, il cui palazzo fu completamente
distrutto durante un alluvione nel XXVIII secolo. |
Lobia - La vecchia chiesa in una rarissima foto della fine dell’800. |
Lobia - La vecchia chiesa in demolizione e la nuova in fase di costruzione. Si può anche notare la vecchia strada che passava a fianco della chiesa, in una foto dei primi del ‘900. |
Lobia - Alunni davanti alle scuole elementari durante l’ora di ginnastica. Foto degli anni ’30. |
Giarabassa - Uno scorcio di vita contadina all’interno del piazzale di proprietà Busetto. Una macchina a vapore sta lavorando. Cartolina dei primi del ‘900. |
Giarabassa - Un gruppo di signore attraversa in barca il Brenta in una cartolina dei primi del ‘900. |
Bolzonella |
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Le
prime notizie storiche a riguardo di Bolzonella ci sono date dal
manoscritto datato 1606, attribuito ad un cronista del
tempo Andrea Cittadella. A
pag. 138 del citato manoscritto si descrive la località Bolzonella, che
dista poche centinaia di metri da Gaianiga, e si ricordano i nomi di
“Elicaone e Polidamante troiani”
che avrebbero fatto costruire
la fortezza di Bolzonella (Elicaone e Polidamante erano due dei diciannove
figli di Antenore, il mitico fondatore di Padova, loro madre era Teano,
sorella di Ecuba, moglie del re di Troia, Priamo). Gli
antichi scrittori Greci ci hanno tramandato che Elicaone sposò Laodicea,
Polidamante Licastra, ambedue figlie di Priamo, e che tutti e due, fuggiti
con il padre da Troia in fiamme, si stanziarono con lo stesso ed altri
esuli troiani ne Veneto, dove fondarono numerosi centri. Si
ricorda una simbologia estremamente confusa e di difficile
interpretazione, simboli che ancora restavano dopo il terremoto del 1223
“un cigno impresso appreso una donzella di tre facce mirante il sole,
che aveva vicino una scrofa con sette porcelli e una vestale, corona ponea
sopra la testa d'uno leone mezzo marino...”. Il
ricordo di nomi dell'antichità classica (Elicaone, Polidamane) e di
leggende classiche (la scrofa) nasconde sempre qualcosa di mitico, di
leggendario, ma copre sempre una realtà antichissima. Si può pensare che
miti e leggende di epoca pre-romana nascondono ricordi di tempi
lontanissimi, come ad esempio gli abitanti preistorici di Gaianiga, vicino
a Bolzonella, dove è stato recuperato una cuspide di lancia perfettamente
conservata, in pietra levigata, numerose punte di frecce di pietra
scheggiata, assieme a materiale di scarto derivante dalla lavorazione
delle selci. Sono pure stati trovati numerosi frammenti di ciottole e di
vasi, impastati e modellati a mano, tipici impasti di età neolitica. Sempre
nel manoscritto di Andrea Cittadella viene ricordato il patavino Trasea
Peto console romano del 56 d.c.. che ebbe ordine da Nerone di uccidersi, e
che possedeva la villa di Bolzonella (Publio Claudio Trasea Peto nacque a
Padova nei primissimi anni dell'era cristiana, venne educato secondo i
canoni dell'antica severità romana, fu inviato dall'imperatore Claudio
quale proconsole in Asia, poi venne chiamato a Roma nominato Senatore. Nel
59 nel corso di una riunione del Senato si scagliò contro le atrocità di
Nerone, che nel frattempo era succeduto a Claudio. Nel 63 decise di non
partecipare più alle sedute del senato, visti il modo d'agire
dell'Imperatore e di tutta o quasi la corte e amministrazione pubblica.
Nel 66 venne condannato a morte dal senato per lesa maestà, in quanto,
tra l'altro, non aveva fatto il suo dovere nei ludi luveriali, indetti da
Nerone stesso. Trasea
Peto per sfuggire all'esecuzione capitale si tolse la vita, anche la
moglie Arria avrebbe dovuto togliersi la vita per seguire le sorti del
marito; ma si lasciò dissuadere per non lasciare sola la figlia Fannia.
E' certo che Trasea Peto e la moglie Arria avevano dei possedimenti nel
territorio padovano, precisamente nell'attuale Bolzonella, e qui anche una
villa. L'autore
del manoscritto, che doveva avere una certa cultura classica, vuole
indubbiamente nobilitare il luogo e circondarlo di ricordi classici,
citando il nome di Trasea e le celebrazioni dei "li spettacoli
massimi secolari". Se queste reminiscenze classiche possono essere il
prodotto della fantasia del cronista, resta pur tuttavia un dato
inoppugnabile che a Gaianiga, su un'estensione di quattro o cinque campi,
affiorano dal terreno, a poca profondità, cocci, mattoni. tegole e
frammenti di anfore di epoca romana. Il
Salomonio nella sua "agri patavini inscriptiones" dice che
esistesse un'antica torre dalla quale si tirava a bersaglio, fabbricata dalla repubblica Padovana per maggior difesa di quella parte
di
territorio dagli Ongari. I
possessori di questo villaggio erano prima i Da Carturo, poi i Volpe e
quindi i Cittadella che Salomonio loda
“quale famiglia tra le più
nobili padovane per facoltà e valore delle armi cospicua”. Giovanni
Bembo doge di Venezia impartendo ad Andrea Cittadella e ai suoi
discendenti il titolo di conte e la giurisdizione ai figli primogeniti
sopra le possessioni, (che lo stesso Andrea aveva in Bolzonella e Onara),
afferma nel suo diploma 22 aprile 1616 essere la famiglia Cittadella “antichissima
e nobile per diverse cagioni della città di Padova e in particolare per i
molti e segnati servizi che in ogni tempo ebbe la signoria nostra”. |
Bolzonella - Foto dei primi del ‘900. Panoramica della villa Cittadella Vigodarzere. |
Bolzonella - Vista del giardino della villa in una cartolina viaggiata negli anni ’30. |
Sant'Anna Morosina |
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Un
tempo era denominata con il nome di "Villa Ramusa", e ciò molto
probabilmente per la vicinanza alla grandiosa villa dei Ramusii a
Paviola. Faceva
parte in passato della parrocchia Vicentina di Onara. Nel 1508 i nobili
conti Veneziani dei Morosini fecero staccare il villaggio dalla parrocchia
di Onara per costituirne uno nuovo con il nome di S. Anna Morosina (bolla
I° marzo del Papa Giulio II ). La
famiglia Morosini ne ebbe il juspatronato nell'anno 1509 che passò poi ai
conti Vigodarzere nell'ottobre 1824, allorquando levarono all'asta i beni
Morosini costituenti il paese di S. Anna Morosina. Per eredità, il
juspatronato dai Vigodarzere passò ai Cittadella Vigodarzere, che tuttora
lo conservano. Oltre
alla chiesa, i Morosini edificarono di fronte a questa una villa
grandiosa, a doppia facciata, che guardava a Mezzogiorno e a Settentrione,
ed era circondata da ampi giardini e da un immenso parco. Esistevano fino
a pochissimo tempo fa i cosiddetti portici ornamento al lato Nord, i quali
aprivano un lunghissimo viale ora chiamato Stradone. Davanti
a questi portici, antistante alla villa, sul mezzo della piazza ornata di
berline e di statue, s'innalzava un bel monumento a S. Michele Arcangelo
portante in mano le bilance, simbolo di giustizia. A
destra della chiesa si trovavano le scuderie per i cavalli, ora
trasformate ad uso canonica. La
villa di S. Anna Morosina, villa regale, serviva di villeggiatura e di
dimora ai nobili Conti Morosini i quali avevano dalla Repubblica Veneta
l'ufficio di procuratore per queste contrade, ove esercitavano il loro
potere civile e padronale. Qui avevano pure le loro prigioni per punire i
colpevoli. Nulla
si sa, in realtà, sulla distruzione di questa grandiosa costruzione.
L'ultima notizia che ci da la villa ancora in piedi è tratta da
"Territorio Padovano illustrato" di Andrea Gloria, datato 1862,
che cosi dice: "...ha dipinti attribuiti al Liberti come i freschi
molto guasti del malconcio palazzo dei Morosini...", che sommato alla
nota trovata nell'archivio comunale "...a sinistra della chiesa e
dinanzi ad essa fino al 1880 circa vi era il cimitero ora distrutto come
quasi tutto il resto...", fa intercorrere tra il 1862 e il 1880 la
demolizione della villa, che appare probabile, sia servito per lavori di
ampliamento della villa di Bolzonella e della fattoria di S. Nicolò. Sopra
gli ingressi del palazzo vi erano alcune iscrizioni in latino; una, datata
1508, attestava la concessione dei diritti giurisdizionali del luogo alla
famiglia veneziana dei Morosini; diritto avuto da Pandolfo Malatesta
signore di Cittadella. Un'altra attribuiva la costruzione del palazzo
stesso, e una del 1640, ad Angelo Morosini, Procuratore di S. Marco il
quale, si leggeva, aveva cara la villa di S. Anna quale sereno rifugio,
lontano dallo strepito della città, da godere con gli amici e la poesia. La
famiglia Morosini fu molto illustre nella sua storia. Famiglia tribunizia,
una delle dodici che nel 697 votarono per l'elezione del primo doge di
Venezia. Vanta quattro dogi: Domenico eletto nel 1150; Marino dopo essere
stato duca di Candia fu fatto doge nel 1242; Michele nel 1382 e Francesco
nel 1688. Fu questi il più celebre guerriero del suo secolo. Per quattro
volte era stato generalissimo dell'Armata Veneziana, si distinse
nell'assedio di Candia, durante il quale, con un pugno di soldati,
respinse cinquanta assalti e restò vittorioso in quaranta battaglie e
sortite. Nel 1677 gli venne affidata una nuova armata, e con essa
sconfisse i Turchi ai Dardanelli e conquistò Corinto, Atene e tutta la
Grecia. |
S. Anna Morosina - Incisione di villa Morosini datata 1683, disegnata da N. Cochin ed eseguita da Martial De Bois. Si noti la grandiosità del complesso architettonico. |
S. Anna Morosina - Sullo sfondo un lato dei portici, ora demoliti, dell’immenso complesso di villa Morosini in una cartolina degli inizi del ‘900. |
S. Anna Morosina - Vista della chiesa e del vecchio campanile del viale della chiesa. Si possono notare le due statue appartenenti alla villa Morosini. La cartolina è degli anni ’30. |
S. Anna Morosina - Veduta della chiesa e delle adiacenze di villa Morosini, in una cartolina degli anni ’50. |
S. Anna Morosina - Villa Cagni. Il complesso, in buono stile architettonico, è ripreso in una cartolina degli anni ’50. |